giovedì 24 marzo 2011

Il pregiudizio viene da lontano

     
         La distinzione  fra “noi” e “loro” in base alle differenze raziali, politiche o religiose ha causato conflitti, guerre e stragi delle quali abbonda la storia dell’umanità. La tendenza a discriminare gli “altri” estranei  non è nata però con il genere umano, ma risale probabilmente all’epoca dell’antenato comune fra noi e le scimmie, cioè, a 25 milioni di anni fa. 
Lo confermano le ricerche dell’equipe della Yale University diretta dalla psicologa Laurie Santos che ha scoperto la presenza di “pregiudizio”  nel comportamento  dei macachi  rhesus di Cayo Santiago, un`isola al largo di Puerto Rico. 


I macachi  vivono in gruppi  piuttosto flessibili, all’interno dei quali molti individui si spostano nell’arco della loro vita. Gli scienziati hanno mostrato ai macachi le foto dei loro simili, alcuni appartenenti allo stesso gruppo, altri ad un branco diverso, misurando la durata di attenzione che le scimmie dedicavano ai singoli volti. E’ noto che gli animali fissano più a lungo le cose nuove e potenzialmente pericolose e, infatti,  le scimmie scrutavano con insistenza gli individui estranei al loro gruppo.  Riconoscevano come estranei anche gli ex membri del branco, quelli che ne facevano parte fino a poco tempo prima. 
Gli studiosi hanno verificato ( tramite test IAT), che le scimmie non si limitavano al riconoscimento dei volti, ma li  associavano a cose “buone” (frutta) o cattive (ragni). I macachi valutano, proprio come noi umani,  in modo positivo i soggetti appartenenti al proprio gruppo mentre guardano con sospetto gli estranei.

In base a questi risultati, la tendenza dell’uomo  a non gradire i “diversi da se” sembra evoluzionisticamente molto radicata, perciò difficile da modificare. “La buona notizia è” dice Larie Santos “che persino i macachi sono flessibili nel considerare gli altri ora dentro, ora fuori dal gruppo. Se troviamo un modo di potenziare questa flessibilità potremmo  diventare una specie un po’ più tollerante”.

La notizia proviene da:  Yale Daily  Bulletin

                                                                              Guarda il video dell’esperimento

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