martedì 23 agosto 2011

Tale quale....e la dismorfofobia

A scuola la maestra dice agli alunni:


-          Oggi ciascuno di voi ci racconterà in che cosa assomiglia ai propri genitori.. Che cosa vi sembra di avere in comune con loro? A chi somigliate di più?
Mario si alza con la faccia molto triste:
-          La mia mamma aveva un sorriso uguale al mio, il naso, le orecchie..tutti dicevano che ero identico a lei..
           Scoppia a piangere e la maestra     cercando di consolarlo:
-                            Povero piccolo, la tua mamma… è andata in cielo…
            Bambino:
-          No, signora maestra, dal chirurgo!


La chirurgia plastica e ricostruttiva  restituisce la serenità alle persone rimaste sfigurate negli incidenti, operate di un tumore; permette di ripristinare l’uso delle parti del corpo mutilate e di correggere le malformazioni come il labbro leporino o la palatoschisi e i difetti estetici che incidono sulla qualità della vita dell’individuo, come le orecchie a sventola o la ptosi palpebrale. 

 Purtroppo, fra quelli che si sottopongono agli interventi c’è una percentuale difficilmente determinabile di  persone che usano la chirurgia come uno strumento di controllo sul proprio corpo. In molti casi si tratta di un disturbo dell’immagine corporea detto dismorfofobia. 
Nella classificazione DSM-IV delle malattie mentali la dismorfofobia è inclusa fra le patologie somatoformi .
 La persona che ne soffre ritiene di avere un grave difetto o deformazione a carico di una qualunque parte del  corpo. Passa molto tempo a camuffare e a controllare questa parte considerando la sua correzione indispensabile per la propria vita. I dismorfofobici che intentano la causa contro il chirurgo perché insoddisfatti del risultato, sono numerosi, poichè il problema che hanno con il proprio corpo non può essere risolto chirurgicamente.  

  Esiste un altro disturbo dell’immagine corporea, raro e ancora non ben definito, in cui invece la chirurgia sembra finora l’unica e disperata soluzione. Si tratta di apothemnophilia o BIID (Body Integrity Identity Disorder). 
Le persone con BIID rifiutano una parte del corpo, che considerano di ..troppo o aliena, e ne richiedono l’amputazione. Altrimenti minacciano il suicidio o tentano automutilazione usando le armi da fuoco, procurandosi infezioni o ustioni, qualcuno addirittura si è sdraiato sui binari per farsi amputare le gambe dal treno in corsa. 
La patologia ha richiamato l’attenzione dei media quando, nel 1997, un chirurgo scozzese Robert Smith ha amputato le gambe al di sopra del ginocchio ai due uomini che ne avevano fatto la richiesta. La notizia ha sollevato molte polemiche, ma il chirurgo affermava di essersi consultato con gli psichiatri e, a distanza di due anni dall’intervento, i pazienti si dichiaravano soddisfatti, avendo nel frattempo cambiato lavoro e adattato la loro vita alle nuove condizioni fisiche.


Nell’articolo “Amputees By Choice: Body Integrity Identity Disorder and the Ethics of Amputation” pubblicato su Journal of Applied Philosophy, Tim Bayne e Neil Levy (2005) discutono le caratteristiche della patologia e le questioni etiche legate agli interventi, aggiungendo che “attualmente nessun ospedale offre la possibilità di amputare gli arti sani”, mentre la comunità di “wannabes”, come si fanno chiamare gli “aspiranti alla amputazione”, può già contare alcune migliaia di membri..

mercoledì 22 giugno 2011

La TV ci prende per il naso?


  La TV di domani, oltre che bella o brutta potrà essere anche profumata o puzzolente.
L’idea di associare gli stimoli olfattivi alle immagini di un film risale agli anni ’40. Già Walt Disney  pensava di utilizzare questo abbinamento per  “La Fantasia”, ma i costi erano allora troppo alti. 
Negli anni sessanta Laube ha costruito un sistema Smell-O-vision che emetteva le sostanze profumate vicino alle poltrone degli spettatori  seguendo la colonna sonora. L’esperimento fu un disastro perché la mescolanza degli odori creò un effetto nauseante.

Lo stimolo olfattivo è in grado di risvegliare i ricordi, di indurre le emozioni,  di influenzare le nostre scelte, perciò il suo potenziale uso nell’ambito pubblicitario è molto appetibile e interessa ovviamente anche ai produttori delle tecnologie audio-televisive. 
Due anni fa la coreana Samsung ha commissionato all’Università  di  California, San Diego,  uno studio sulla fattibilità d’uso di un dispositivo collegato al televisore o al telefono cellulare che potesse emettere gli odori coordinati alle immagini che venivano trasmesse.  I risultati pubblicati di recente dimostrano che è possibile realizzare un dispositivo in grado di sprigionare circa 10000 flagranze e sufficientemente piccolo  da  collocare dietro lo schermo, utilizzando il sistema a matrice X-Y.
 Il prof Sungho Jin, responsabile della ricerca, spiega che gli odori sono contenuti in una soluzione acquosa all’interno di minuscoli contenitori di silicone attraversati dal filo metallico. Quando la corrente elettrica attraversa il filo, la soluzione si riscalda liberando il gas odoroso. L’aumento della pressione apre un piccolo foro permettendo la fuoriuscita del gas il cui odore può essere percepito fino alla distanza di 30 cm.

E quando il contenuto del dispositivo finisce? Potrete cambiare la cartuccia come fate oggi con la vostra stampante. 

Leggi l’articolo su Science Daily

domenica 8 maggio 2011

L'autostima e le carte di credito

    Chi non ha nell'armadio un vestito stravagante, mai indossato o, in giro per casa, un oggetto inutile comprato in un momento difficile con l'unico scopo di tirarsi sù di morale?
Quando le convinzioni su se stessi o sulle proprie capacità vengono minacciate da un insuccesso personale o da una performance non riuscita, molti sono propensi a cercare la compensazione faccendo lo shopping degli oggetti costosi, firmati, simboli di uno status.

In una ricerca pubblicata su Social Psychological and Personality Science, Niro Sivanathan della London Business School e Nathan Pettit della Cornell University hanno dimostrato che le persone che acquistano gli articoli di lusso per sollevare l'autostima in pericolo, scelgono la carta di credito come il metodo di pagamento psicologicamente meno doloroso in quanto dilazionato nel tempo.
I ricercatori hanno somministrato ai volontari dei test computerizzati di logica e di ragionamento spaziale manipolati in modo che il risultato fosse completamente casuale: o molto lusinghiero o estremamente scadente. I partecipanti che hanno ricevuto il voto basso, in pratica equivalente al titolo di "deficiente", quando è stato chiesto loro di scegliere il metodo di pagamento preferito per un prossimo acquisto, optarono in maggioranza per le carte di credito, contrariamente agli altri, decretati dai test fasulli come "geni".
In uno studio successivo Sivanathan e Pettit hanno chiesto a 150 studenti di pensare all'acquisto di un paio di jeans. La metà di loro avrebbe dovuto comprare dei jeans firmati, di una maison prestigiosa, carissimi, e l'altra metà dei jeans normali, economici. Tutti i ragazzi sono stati sottoposti ai test computerizzati dagli esiti truccati e coloro che ricevettero la valutazione bassa erano pronti a pagare i jeans di lusso fino al 30% in più dei loro compagni e in maggiore percentuale (60%) intendevano ricorrere al pagamento con la carta di credito. Per quanto riguarda i jeans economici, i risultati furono diversi: né la somma che gli studenti erano disposti a pagare, né il modo di pagamento apparivano influenzati dal voto ottenuto ai test.

In conclusione: gli oggetti "normali", di uso quotidiano non hanno lo stesso potere di rassicurarci sul nostro valore di quanto ne abbiano gli articoli di lusso e, come affermano gli autori, è molto probabile che le persone dopo una minaccia alla propria sicurezza ricorrano al credito per comprare questo tipo di beni senza curarsi di alti tassi d'interesse o di un indebitamento a lungo termine legato alla restituzione del prestito.


Sei giù di corda? Quando esci, ricordati di lasciare le carte di credito a casa!

giovedì 28 aprile 2011

Magra, non magra, magra....

...recita Geppy in uno spot pubblicitario, ma il problema del peso affligge molti di noi.
Chiunque abbia mai provato a mettersi a dieta, sa quanto è difficile mantenere un regime calorico ridotto per lungo tempo, perchè la dieta funziona...finchè la fai!
    La nostra mente è un bastian contrario, appena cerchiamo di non pensare al cibo .. arrivano i pensieri che ce lo fanno ricordare.
    Provate voi stessi: decidete di non mangiare più qualcosa che vi piace molto, un giorno, due, tre... e poi? Probabilmente proverete uno stimolo forte a trasgredire..un desiderio irrefrenabile di quella cosa di cui vi state privando.

Allen Carr, l'autore del bestseller "E' facile smettere di fumare se sai come farlo", che ha aiutato milioni di persone ad abbandonare il fumo, ha elaborato un suo programma alimentare basato sui cibi naturali e lo propone nel libro "E' facile controllare il peso se sai come farlo" (ed. EWI, 2009).
Per scoprire quali cibi siano i più adatti all'uomo Allen Carr prende spunto dal mondo degli animali. 
A quale animale somiglia di più l'uomo sapiens? Ci piaccia, o no, alla scimmia. E cosa mangia il nostro cugino scimpanzé?...esatto! Le banane! Persino il nostro gusto lo testimonierebbe: sin da piccoli preferiamo i sapori dolci, perchè la frutta matura è dolce! I nutrizionisti obietterebbero subito che una dieta a base di frutta e verdura porterebbe sicuramente ad una carenza di proteine e di calcio.

Carr non è un integralista radicale e parla di alimentazione prevalente, non esclusiva. Del resto anche le scimmie si concedono qualche volta una succulenta larva ricca di proteine. Per quanto riguarda il calcio, l'autore porta ad esempio l'elefante che ha una massa ossea, comprese le zanne, molto più grande di noi e...non soffre di osteoporosi pur non mangiando lo yogurt arricchito, ne altri latticini. 
   


Non sarebbe stato meglio, forse, fare una scorpacciata di banane o un'indigestione d'insalata?!

lunedì 11 aprile 2011

Medita, che ti passa...

     Non ha controindicazioni ed è accessibile a tutti!     
Il  nuovo antidolorifico si chiama mindfulness, ossia la meditazione di consapevolezza. Non si tratta di una pratica ascetica dei monaci tibetani,  né di una trovata New Age ad effetto mediatico.
   
Mindfulness proviene dalla tradizione buddista theravada, ma le sue tecniche sono state adattate al modo di vivere occidentale e in pratica consiste nel “porre l’attenzione intenzionalmente, nel momento presente, in modo non giudicante”  (J.Kabat-Zinn).  
  Le terapie basate sulla meditazione, oltre ad avere l'efficacia clinica, si sono rivelate in grado di  modificare la struttura di alcune aree cerebrali.  
E’ stato documentato, per esempio, un ispessimento dell’ippocampo, l’area importante per l’apprendimento e per la memoria, nei partecipanti al  programma di Riduzione dello Stress basato su mindfulness (MBSR). La diminuzione dello stress si accompagnava anche alla riduzione della densità cellulare nell’amigdala coinvolta nelle manifestazioni dell’ansia, della paura e dello stress.

L’ultima ricerca condotta da Fedel Zeidan del Wake Forest Baptist Medical Center in North Carolina dimostra che quattro sedute di mindfulness di 20 minuti ciascuna possono ridurre del 40 per cento l’intensità del dolore percepito, contro appena  il 25 per cento dei farmaci analgesici, compresa la morfina.  La risonanza magnetica (RMI-SLA) effettuata dopo le sedute di mindfulness ai volontari sottoposti ad uno stimolo termico doloroso,  ha visualizzato la riduzione dell’attività della corteccia somatosensoriale nella quale ha l'origine la sensazione di dolore e l’aumento dell’attività nelle aree responsabili della elaborazione dell’esperienza dolorosa a partire dai segnali  provenienti dal corpo.

I partecipanti allo studio non avevano mai meditato prima!  Questo dovrebbe incoraggiare chi di voi pensi che per  praticare la mindfulness debba rinchiudersi per molto tempo in qualche monastero…Per cominciare, o per curiosità, leggi qualche libro di Jon Kabat-Zinn..

Riferimenti:

giovedì 24 marzo 2011

Il pregiudizio viene da lontano

     
         La distinzione  fra “noi” e “loro” in base alle differenze raziali, politiche o religiose ha causato conflitti, guerre e stragi delle quali abbonda la storia dell’umanità. La tendenza a discriminare gli “altri” estranei  non è nata però con il genere umano, ma risale probabilmente all’epoca dell’antenato comune fra noi e le scimmie, cioè, a 25 milioni di anni fa. 
Lo confermano le ricerche dell’equipe della Yale University diretta dalla psicologa Laurie Santos che ha scoperto la presenza di “pregiudizio”  nel comportamento  dei macachi  rhesus di Cayo Santiago, un`isola al largo di Puerto Rico. 


I macachi  vivono in gruppi  piuttosto flessibili, all’interno dei quali molti individui si spostano nell’arco della loro vita. Gli scienziati hanno mostrato ai macachi le foto dei loro simili, alcuni appartenenti allo stesso gruppo, altri ad un branco diverso, misurando la durata di attenzione che le scimmie dedicavano ai singoli volti. E’ noto che gli animali fissano più a lungo le cose nuove e potenzialmente pericolose e, infatti,  le scimmie scrutavano con insistenza gli individui estranei al loro gruppo.  Riconoscevano come estranei anche gli ex membri del branco, quelli che ne facevano parte fino a poco tempo prima. 
Gli studiosi hanno verificato ( tramite test IAT), che le scimmie non si limitavano al riconoscimento dei volti, ma li  associavano a cose “buone” (frutta) o cattive (ragni). I macachi valutano, proprio come noi umani,  in modo positivo i soggetti appartenenti al proprio gruppo mentre guardano con sospetto gli estranei.

In base a questi risultati, la tendenza dell’uomo  a non gradire i “diversi da se” sembra evoluzionisticamente molto radicata, perciò difficile da modificare. “La buona notizia è” dice Larie Santos “che persino i macachi sono flessibili nel considerare gli altri ora dentro, ora fuori dal gruppo. Se troviamo un modo di potenziare questa flessibilità potremmo  diventare una specie un po’ più tollerante”.

La notizia proviene da:  Yale Daily  Bulletin

                                                                              Guarda il video dell’esperimento

martedì 1 marzo 2011

Smettere di rimandare..da subito!

Rimandi la preparazione di un esame, o salti la sessione? Non è una tragedia, ma se capita più volte potrebbe farti sentire in colpa, inadeguato e oltre a compromettere la tua autostima, rallentare il tuo percorso universitario. 
Del perché procrastiniamo ne abbiamo già parlato nel post  “Comincio domani”, adesso vediamo come si fa a smettere!  La ricetta è semplice:  fai qualunque cosa stavi rimandando … solo per qualche minuto. Se devi  studiare, concentrati sui libri per mezzora soltanto e subito. Poi farai tutto quello che vorrai. Se devi riordinare l’armadio, metti a posto solo un cassetto, al resto ci penserai dopo.
 Richard Wiseman descrive le basi scientifiche della regola “solo per qualche minuto” nel  libro “59 secondi. Pensa poco, cambia molto” ( Salani Ed., 2010). Il metodo si basa sulle osservazioni di una psicologa russa degli anni venti , Bluma Zeigarnik. La studiosa aveva assegnato ad un gruppo di volontari vari compiti, come mettere oggetti in una scatola, o impilare i ripiani. In alcuni casi ha fatto interrompere l’operazione prima che fosse finita e poi ha fatto descrivere a tutti i partecipanti le azioni che hanno dovuto compiere. L’esperimento ha svelato che le azioni non portate a termine, interrotte, vengono ricordate con più facilità, si imprimono meglio nella mente delle persone. L’inizio di ogni attività crea nel cervello un’attivazione simile all’ansia che ritorna alla “calma” quando l’impegno è portato a termine. Un' interruzione, che impedisce di  completare il lavoro, mantiene viva l’ansia che ci perseguita finchè non abbiamo finito ciò che era rimasto in sospeso. 
“I procrastinatori,” scrive Wiseman, “rimandano spesso l’inizio di certe attività perché sono intimoriti dalla mole di lavoro che li attende”. Una volta persuasi di dedicarsi al compito “solo per qualche minuto”, riescono, di solito, ad arrivare fino in fondo.

Prova anche tu ad applicare questo metodo e oggi studia per mezzora soltanto  e, se per  te non funziona, se non ti viene voglia di continuare, pazienza! Sei stato bravo comunque: mezzora è meglio di niente!  Fai lo stesso domani,  dopo domani… e dopo ancora…

Leggi anche: Comincio domani