martedì 8 settembre 2015

La mente del principiante

       
          Il sapore del cibo, il profumo dei fiori, i suoni di un brano musicale o di un discorso … Tutte le percezioni sensoriali sono influenzate dalle nostre conoscenze, esperienze precedenti  e dalle aspettative.  Siamo in grado di imparare per associazione, ma ciò che impariamo condiziona  a sua volta il modo in cui il nostro cervello percepisce ed organizza le informazioni che provengono dal ambiente attraverso il processo cognitivo chiamato il controllo “top-down”.  

Per esempio, quando vediamo le parole con delle lettere mancanti, il cervello è in grado di riempire automaticamente i vuoti e riconoscere il significato della frase.

In pratica la percezione sensoriale non è una registrazione passiva degli eventi e degli stimoli, ma una costruzione del mondo in base a ciò che già conosciamo e che ci aspettiamo di percepire.
A confermarlo esistono numerose ricerche e fra le più recenti uno studio, condotto sui topi, dall'equipe del neurobiologo prof. Takaki Komiyama della U.C. San Diego che ha permesso di osservare come in seguito al apprendimento il cervello modifica il funzionamento della corteccia visiva incrementando la regolazione “top-down”.

Tutti noi impariamo i comportamenti ai quali siamo esposti durante l’infanzia, restiamo influenzati dalle opinioni, giudizi delle persone a noi vicine e  questo condiziona le nostre percezioni e a volte ci rende schiavi delle credenze, delle convinzioni su come le cose dovrebbero essere.  Praticando mindfulness possiamo riconoscere l'impatto di ciò che abbiamo imparato, prenderne distanza e ricominciare ad esplorare il mondo senza pregiudizi.
“La mente del principiante”,  parte integrante della pratica mindfulness, si riferisce all'idea di lasciar andare i preconcetti ed avere un’attitudine di apertura e di curiosità. 

Quando siamo principianti assoluti in qualsiasi campo, la nostra mente è vuota, ricettiva. Abbiamo voglia di imparare e di cogliere tutte le informazioni, come un bambino alla scoperta del mondo. Più impariamo sul argomento più la nostra mente si chiude. Quando diventiamo esperti e abbiamo “una solida opinione”, qualsiasi informazione ad essa contraria tende ad essere confutata o bloccata.  Crediamo di imparare, ma spesso stiamo semplicemente selezionando le informazioni, aspetti delle esperienze vissute, a conferma di quello che già conosciamo, per validare le nostre ipotesi e giustificare i comportamenti.  Siamo “fusi” con le nostre idee. 
E se queste riguardano noi stessi? Le affermazioni tipo “buono a nulla”, “bighellone”, ”fallito ”, “cattivo” si appiccicano come la seconda pelle, fanno male, condizionano tutta la nostra vita, eppure sono solo opinioni, giudizi, etichette … 


sabato 10 gennaio 2015

L'uomo che non deve chiedere mai ...


     Non si lamenta, non ama le smancerie, non ha bisogno di nessuno,
 è sicuro di sé,  una roccia, ed è anche spesso … molto solo, perché se non chiede, difficilmente potrà essere soddisfatto. D’altra parte già da piccolo si sentiva dire: “chi fa per sé, fa per tre”, “meglio soli che mal accompagnati”, “fidarsi bene, ma non fidarsi è meglio”  e altre perle di saggezza popolare che gli propinava la famiglia. Io sono cresciuta con il mito di autosufficienza, l’indipendenza economica, l’americano self - made man …  Per fortuna c’era il mitico Giorgio Gaber  che lo ridimensionava,  cantando: “mi son fatto tutto da  me, mi son fatto tutto di m…a” (L’Odore, 1974).
 Torniamo però,  al nostro protagonista. Ha un grosso problema al lavoro, ma se gli domandi “come va?”, risponderà “bene, bene!”, come sempre. La moglie da tempo ha rinunciato a chiedergli come sta, perché “tanto quello lì non parla nemmeno sotto tortura”. Lui si sente incompreso, abbandonato, avrebbe voluto che gli altri si accorgessero che sta male, ma da soli, senza che ne dovesse parlare lui, forse con qualche dono di chiaroveggenza  … Sta soffrendo, ma chiedere aiuto vuol dire esporsi, mostrare la propria vulnerabilità. E se poi gli altri …

Indossare la maschera da supereroe (o da supereroina!) è una delle modalità di difesa dalle emozioni scomode. Fa parte delle strategie di evitamento. Lo scopo di questa strategia è assicurarsi che nessuno possa vedere la nostra difficoltà. Nasce dalla paura che, se gli altri vedessero le nostre emozioni, potrebbero prenderci in giro, umiliarci, oppure giudicarci come deboli, debosciati o pazzi, fuori di testa o,  semplicemente potremmo essere ignorati, traditi, abbandonati e …  sentirci ancora più soli. Meglio fare a meno degli altri che restare delusi. Perciò l’apparenza deve essere mantenuta, le emozioni che bruciano ben nascoste.  
L’ACT (La terapia dell’Accettazione e dell’ Impegno) vede proprio nell’evitamento esperienziale una delle principali cause della sofferenza psicologica, in quanto i costi che impone a lungo termine possono portare all’impoverimento della vita, alle rinunce importanti, alle decisioni dettate dalla paura.

In questo caso, il prezzo che paga il nostro supereroe è che la sua vera natura rimane nascosta, non può essere se stesso. Nessuno si accorge che sta male e non può aspettarsi aiuto da nessuno. Non mostra i propri bisogni, perciò nessuno può appagarli. Si sente solo, non capito e insoddisfatto delle sue relazioni.
Per tutti i Superman e tutte le Wonder Woman l’unico modo per cambiare questo schema è imparare a chiedere aiuto, stare con le emozioni scomode, correre il rischio perché ….
“CHI NON RISICA, NON ROSICA”


Le fonti per questo post:
M .McKay, P. Fanning, P.Zurita Ona “MIND and EMOTIONS” (New Harbinger)